lunedì 21 settembre 2009

"L’orgoglio di essere niente"

(tentativo di una fenomenologia del ‘reds football club’, in occasione del ventennale)


‘Vogliamo un calcio come da bambini’, stava scritto su uno striscione allo stadio, nell’ultima giornata del campionato di serie A. Io credo che si tratti già, per l’appunto, di una richiesta infantile. Difatti i bambini sono molto seri quando giocano, nessuno prende sul serio il gioco come un bambino, e alla stessa maniera nessuno prende il calcio sul serio come un tifoso, non parliamo poi di chi con il calcio ci lavora.

Il calcio ‘vero’ è quindi un gioco molto serio, un gioco da bambini che fanno del calcio il parametro delle regole che si svolgono nella società. Il calcio è per le leggi che regolano il vivere civile quello che il metro che si conserva a Parigi è per la dimensione lineare, e questo sia nel senso concettuale che in quello fattuale. Per de-responsabilizzarsi, la civiltà nella sua fase più evoluta (vale a dire nel novecento, vale a dire prima della necessaria decadenza), ha scelto di affidare al calcio il simulacro delle proprie regole di convivenza, e questo fa del calcio, per chi lo osservi con sguardo filosofico diciamo così, l’osservatorio privilegiato sulla realtà o almeno sulla società che esso rappresenta, nonché sulle varie fasi che si trova ad affrontare.

Chi non si occupa di filosofia crede di non farne, diceva un filosofo, invece tutti ci troviamo a fare filosofia per il solo fatto che parliamo, nelle parole c’è nascosta tutta una filosofia di vita di cui non ci rendiamo conto. Parlare è innanzitutto giurare, dice un altro filosofo, è credere ogni volta nel nome, e attraverso il nome credere in un impianto connettivo di valori di cui possiamo non essere consapevoli, ma che tuttavia creano il mondo in cui siamo immersi, la cosiddetta realtà. E quella che il calcio ci presenta, nella sua rappresentazione esatta del mondo in cui viviamo, è una realtà di adulti che credono di essere bimbi, pensano di essere seri mentre soltanto ‘fanno’ i seri, non sanno far altro per credere in sé stessi. La serietà in questo senso è una malattia endemica come la leptospirosi, con l’aggravante che nessuno sente l’esigenza di trovare una cura.

Poi si potrebbe pensare che uscendo dalle ‘alte sfere’ del calcio gli orizzonti si allarghino, che nella volontarietà e gratuità del gesto calcistico si smorzi o si dipani l’infantilismo ‘serio’ e ci si rilassi, diventando finalmente un po’ più adulti, quindi meno ‘seri’. Noi sappiamo che spesso non è così. Accade di frequente di incontrare sui campi di calcio più amatoriali e periferici uomini, anche anziani, che puerilmente cercano un riscatto, certe volte si drogano addirittura per alimentare un’illusione di forza che non ci può essere, con la bava alla bocca.

L’esperienza del ‘reds football club’ va in senso contrario, somiglia un po’ a quelli che sono nati anziani quindi non possono invecchiare oltre.

Forse non unica nel genere ma sicuramente peculiare, l’importanza del ‘reds football club’ risiede proprio nell’aver progressivamente intuito che è necessario dare meno importanza alle cose valutate come più importanti, e più invece alle cose che lo sono meno, e questa può essere una definizione di maturità, o di ‘vera’ serietà. Difatti, a valutare bene, coloro che pur facendo parte del nucleo originario avevano un maggiore bisogno di ‘serietà’, o meno sentivano la necessità di tale bilanciamento ‘al contrario’, si sono progressivamente e direi naturalmente allontanati, hanno trovato il modo di farsi sostituire, evidentemente e proprio per diverse esigenze di rappresentazione.

Chiunque ha messo il piede su un pallone sa, o dovrebbe riconoscere almeno che scambiarsi la palla è scambiarsi una massa enorme di informazioni psicologiche, di rimandi esistenziali e pure affettivi, e il ‘fare squadra’ è valutabile come il creare un ordito di esperienze comuni. Per i ‘reds’ i simposi filosofici che seguivano immancabilmente ogni partita sono serviti a ribadire l’ordito in una trama sempre più chiara. All’idea un po’ patetica di conservare il bimbo che c’è in te, vale a dire un fantasma, una rappresentazione fantastica e nient’altro, dato che nel frattempo le cose sono cambiate un bel po’ e di quella percezione non è rimasto che un ricordo, vale a dire un’invenzione zoppa il più delle volte, i ‘reds’ hanno saputo sostituire la dedizione a qualcosa che non solo non ha futuro, ma è perdente già sul momento, partita dopo partita. Quel vertiginoso senso di comunità di intenti che dà l’appartenenza a un gruppo, ad una squadra, è stato dai ‘reds’ utilizzato per attenuare la tendenza individuale e conservatrice alla serietà bambinesca, lasciando che il tempo facesse il suo corso, come deve e del resto ha provveduto a fare nel frattempo. E questo, conviene sottolinearlo, pur non propendendo mai preventivamente e direttamente per la sconfitta.

È questa la ragione e il valore peculiare dell’esperienza ‘reds’, quella di aver saputo affidarsi al tempo che passa, ribadendo che si tratta di una sconfitta sempre, comunque e immancabilmente. La risposta raffinata che sono riusciti a dare i ‘reds’ ha fatto sognare sì, ma come sognano gli adulti. Questa la loro unica vittoria.


Il Presidente

martedì 28 luglio 2009

Luce sul passato


In epoca di revisionismi storici sul... presente (Saviano è solo la punta di un iceberg ancora tutto da scoprire), ecco una testimonianza precisa su come eravamo.
Se ti riconosci in uno - o anche in più di uno - di questi Reds mettiti in contatto con la redazione.

giovedì 23 luglio 2009

20 years of Reds

E’ arrivato il momento di festeggiare!

Il 19 ottobre 2009, presso il Circolo Sportivo "la Mirage", si celebra il ventennale dell'orgoglio Reds.

Visita l'homepage della manifestazione.

Posta i tuoi commenti e la tua storia Reds sul blog.

E resta in contatto per tutti gli aggiornamenti sull'evento

Per informazion: jebediah@tiscali.it


Dopo l’estate, rivendica anche tu il tuo posto nella storia.

Nella straordinaria storia dei Reds!